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domenica 14 giugno 2015

LA BATTAGLIA DEL SOLSTIZIO, 15-22 GIUGNO 1918.

                                           Risultati immagini per aRTIGLIERI DEL 1915-18
Con questo post intendo celebrare la ricorrenza della Battaglia del Solstizio con il brano seguente, che ho avuto il piacere di leggere in un momento celebrativo fra Artiglieri in armi e in congedo iscritti all'Associazione Nazionale Artiglieri d'Italia. L' iniziativa, sobria e sintetica, attivata dal Comandante dell' Istituto Geografico Militare di Firenze, massima autorità dell'Arma in città e dal Presidente della Sezione A.N.Art.I di Firenze, ha avuto luogo venerdi 12 giugno, in una splendida location:  il celebre Casino della Livia, di medicea memoria.
Dopo la disfatta di Caporetto le truppe, attestate sulla linea del Piave, sferrarono un poderoso attacco che si concluse 5 mesi dopo con la riconquista di Vittorio Veneto. Determinante fu l'apporto dell'Artiglieria che, con la massima precisione e potenza del suo tiro, preparò e sostenne, con oltre 5000 bocche da fuoco, il riscatto dell'Esercito Italiano.  Convenzionalmente il 15 giugno si celebra la Festa dell'Arma di Artiglieria.
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Il capopezzo lo svegliò di malagrazia e lo spinse fuori dal ricovero serventi verso la piazzola del pezzo. Era molto umido e freddo nonostante fosse la metà di giugno: era piovuto per giorni rendendo tutto scivoloso con fango e pozze d’acqua da tutte le parti. Gli scarponi erano un disastro e le pezze da piedi ormai marce, rendevano i piedi perennemente freddi. Le fasce mollettiere distribuite in sostituzione dei gambali, praticamente introvabili per le truppe combattenti, erano ormai un ricordo incrostate di fango e zuppe d’acqua. Era già un lusso essere vestito e calzato di tutto punto, una dotazione regolare di scarpe ed abiti decenti li aveva avuti solo con l’arruolamento: in casa, come ennesimo figlio di poveri mezzadri, gli abiti erano un lusso e le scarpe non le aveva avute se non, riciclate, per le grandi occasioni, per il resto solo zoccolacci di legno.
Gli altri serventi, anche loro nelle stesse condizioni, si muovevano nell’oscurità sotto la pressione del caporal maggiore capopezzo, un sussiegoso settentrionale con pretese intellettualoidi, del quale i soliti ben informati mormoravano che aveva partecipato agli scioperi operai del maggio precedente e pizzicato dai carabinieri era stato spedito al fronte, col “baffo” quale operaio specializzato. Era però un buon tecnico e gli aveva dato affascinanti spiegazioni sul funzionamento del pezzo al quale era assegnato: il famoso 75/27 mod.11 Dupont.
Quale “caricatore” iniziò ad adempiere alle incombenze delle quali era incaricato: tolse il cappuccio di protezione dal vivo di volata e svincolò la bocca da fuoco dall’aggancio sugli organi elastici dell’affusto ai quali era ancorata in posizione di marcia e di riposo, quindi, dato il convenzionale cenno al puntatore si pose tra le cosce del pezzo come prescriveva la libretta, pronto ad inserire all’interno della camera di scoppio la granata che gli veniva passata dal “porgitore” che a sua volta la riceveva dal “preparatore” primo anello della catena, sotto la sorveglianza del “capopezzo”.
Di lì a pochi attimi si materializzò il sottotenente comandante di sezione che sempre in massimo silenzio, come disposto con rigorosi ordini dei giorni precedenti, li radunò ricordando loro l’importanza di quello che erano chiamati a fare, i pericoli incombenti per loro e per le loro famiglie, appellandosi al loro onore di artiglieri del Regio Esercito e informandoli che il nemico si apprestava a lanciare una grande offensiva che spettava proprio a loro di rintuzzare sin dalle primissime fasi con la loro azione impedendogli di attraversare il fiume che scorreva poco avanti a loro. Un fervorino che gli scaldò il cuore e lo rese partecipe del grande atto che si stava per scatenare. Anche negli occhi dei suoi compagni lesse la stessa volontà e decisione e tornò al pezzo più stimolato e motivato.
In attesa di agire, nel buio rifletté che capiva finalmente come mai la sua batteria, acquartierata in un piccolo paesino delle retrovie per un periodo di riposo e di addestramento alle nuove tecniche della manovra del fuoco, era stata allarmata e in tutta fretta spedita sulle attuali posizioni con tutte le cautele possibili: movimenti sul far dell’alba e dopo il tramonto, lavori di interramento della linea pezzi ridotti al minimo, mascheramento curatissimo, aggiustamento sugli obbiettivi solo in maniera assolutamente saltuaria e mai per sezione o per batteria ma sempre e soltanto con il pezzo base, a dissimulare la presenza di tante bocche da fuoco di tutti i calibri, ammassate in quella zona del fronte, come se già si sapesse o si aspettasse qualcosa…..
All’improvviso sembrò che una scossa elettrica invadesse tutti, il capopezzo chiamò i serventi e dette il fatidico ordine: caricate! La catena si mise in movimento, il preparatore pescò una granata già pronta dalla riservetta e la passò al porgitore che la passò a lui che con decisione la infilò nel vivo di culatta, pressando con determinazione il fondello del bossolo con il pugno della mano destra a far impegnare la rigatura della canna dalla corona di forzamento della granata, quindi il puntatore di destra chiuse la culatta: il pezzo era pronto al fuoco.
Si aspettò ancora, erano secondi che parevano ore e pesavano come macigni, la tensione era alle stelle e quando giunse l’ordine di “fuoco!” erano circa le una della notte, fu una liberazione il puntatore di destra azionò la leva di sparo e il pezzo rinculò bruscamente sui due piani, la bocca da fuoco sulla culla e l’affusto sul sottoaffusto. Il caporalmaggiore gli aveva spiegato che era un grosso vantaggio, permetteva al pezzo di non saltare sull’affusto, migliorando di molto la stabilità dello stesso a tutto vantaggio della precisione del tiro e della velocità di fuoco, essenziale in un pezzo ideato per l’artiglieria da campagna e pertanto devoluto all’accompagnamento diretto dell’azione delle fanterie amiche nell’attacco e al fuoco di sbarramento per la protezione delle proprie posizioni nella battaglia difensiva. L’ordine fu perentorio “fuoco a cadenza massima!” Pertanto ogni pezzo poteva sparare a volontà alla massima velocità possibile di circa 7-10 colpi al minuto, con i bossoli incandescenti che si ammucchiavano sui piedi dei serventi e loro che non avevano materialmente il tempo di respirare per la necessità di infornare in continuazione nuovi colpi.
L’azione, contrariamente alle aspettative, continuò se non con brevissime interruzioni anche quando iniziarono a fioccare i colpi in arrivo dell’artiglieria nemica che tentava un tiro di controbatteria per alleggerire la pressione sulle proprie fanterie, ma era in effetti un tiro sconnesso e mal registrato, mancando agli osservatori nemici precisi punti di riferimento e dati di tiro precalcolati basandosi nella notte solo sulla rilevazione delle vampe per i colpi in partenza, elemento non facilmente ed univocamente rilevabile data la numerosità delle armi che erogavano il fuoco.
Peraltro danni e perdite si rilevarono anche sulla linea pezzi del suo gruppo ma il nostro continuò a caricare il suo pezzo con determinazione e il sudore gli colava lungo la schiena e dalla fronte, si liberò in un attimo della giubba e proseguì nell’azione che gli sembrò nel contempo eterna e brevissima, fino a quando li raggiunse l’ordine di sospendere il fuoco e poi: pezzi in sicurezza!
Notò solo allora che il sole era già alto nel cielo e il fumo degli scoppi e degli incendi si alzava alto, il rumore violento della battaglia giungeva fragoroso ma nonostante il nemico fosse riuscito a passare il fiume, come seppe poi, in altri settori, di fronte a loro era stato inchiodato sulla linea di partenza con i reparti ancora ammassati; crollò allora esausto come i suoi compagni sul posto e si riposò pronto ad un nuovo allarme che non mancò ma che fu meno grave e pesante del primo.
Il suo reggimento alcuni giorni dopo, tirato a lucido e schierato al gran completo ricevette l’augusta visita del Sovrano che si rallegrò con tutti per la brillante azione, strinse la mano al Comandante e decorò la bandiera di una ricompensa al valore concessa motu proprio!
Restò tutta la vita orgoglioso di avere partecipato a quella battaglia e ancora, anziano ripeteva ai suoi nipotini che lo ascoltavano rapiti alcune parole della preghiera dell’artigliere:
……di rendere il nostro cuore
forte come la tempra dei nostri cannoni
puro il nostro animo come la fiamma
che erompe dai nostri pezzi.

a cura di Francoeffe

martedì 9 giugno 2015

VIGILIA DELLA PRESENTAZIONE DI UN LIBRO.

L'ho già scritto nella introduzione al libro che presenterò sabato 20 p.v. (vedi post): sono un uomo fortunato ad avere incontrato persone che mi hanno agevolato, seguito e aiutato nella sua redazione. Ho trovato famiglie che si sono appassionate alla mia ricerca riguardante un loro famigliare; famiglie che mi hanno messo a disposizione del materiale prezioso, per loro e tutti, dal quale ho tratto informazioni, ma soratutto incitamento ad approfondire, scavare e pubblicare. Ho goduto della fiducia di queste famiglie delle quali, comunque vada la presentazione e  la valutazione di quel lavoro, mi resterà un ottimo ricordo del tipo di rapporto instaurato, sempre di stima, talvolta d'affetto. Con molti figli, generi, nipoti di quei soldati che ho trattato ho avuto la possibilità/necessità/ventura di commuovermi con loro, ascoltando le loro storie e ricordi. In alcune delle 103 biografie raccolte l'ho dovuto scrivere chiaramente e francamente. Una per tutte, senza far torto ad alcuno: la storia di Piero Lombardi. Ve lo avrei fatto vedere mentre mi diceva di quel soldato che scendendo in acqua gli sorrideva salutandolo, convinto che lo sforzo di Piero, se avesse tentato di aiutarlo,  non avrebbe dato alcun risultato. Senza dire molto di più dei diari: ben 5!! Quello di E. Bonechi, che puntualizza l'orario dell'esplosione e ci dice del susseguirsi del naufragio; quello di P.L. Tori, che ci racconta come in una radiocronaca, la cattura della sua Batteria (e forse del III° Gruppo di Artiglieria); quello terrificante di  C. Tanzini, che ci fa scendere nei gironi delle paure dell'uomo quando si trova in grave pericolo. Solo altre 2 citazioni: a) il 'poemetto' di Ivo Grassi, in ottava rima, che ci accompagna dalla partenza da Firenze alla sponda di Durazzo; b) la 'via crucis' di R. Nafissi, che ci racconta, come in un diario di viaggio (ma tale é) dalla cattura - 13 settembre '43 - al rientro in Patria nell'aprile del 1945.
Ho avuto la fortuna di raccogliere e commentare tutti questi materiali da 3 superstiti, dai figli, nipoti, generi e mogli dei naufraghi. Grazie e tutti.

Francoeffe