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giovedì 14 agosto 2014

Una persona molto cara.

Zia Marcella, primi anni 40.
I blog, questo almeno, ospita anche contributi di altri. Inoltre chi l'ha detto che un blog, questo almeno, debba ospitare soltanto post distratti, ridanciani, o seriosi, comici ecc ...
Questo post rientrerà in quelli non solo seri, ma dolorosi. E' un post in memoria di una persona cara.
Ognuno di noi ha fra le sue parentele e conoscenze una o più persone che gli sono particolarmente care, o simpatiche, con le quali ha condiviso momenti allegri, drammatici oppure ha percorso insieme un tratto di vita. Questa era una zia.
Questa persona a me cara che é venuta a mancare oggi, era fra questo tipo di persone care: avevamo anche percorso un po' di vita insieme e non ci eravamo mai persi di vista, se non negli ultimi tempi a causa del suo forzoso trasferimento a Roma. Parlo della zia Marcella, sorella di mia mamma.
Ho avuto molte zie alle quali sono stato molto legato, alle quali ho voluto ricambiato,. molto bene, per una ragione o per l'altra. La zia Rina, perchè una sua figlia é cresciuta con me e Marco; la zia Albertina perchè  é stata di casa nella nostra, consigliera e confidente della mamma, sempre pronta ad intervenire; la zia Anita, che mi aveva visto piccolo mentre con i miei ero sfollato ad Osteria Nuova durante il passaggio del fronte. Zia lo sarebbe diventato dopo quel periodo. Ma la zia Marcella, ...
Mi aveva visto nascere, lei diceva '.. ti ho tirato io fuori!'. Era quasi vero.Mi aveva cresciuto mentre mamma lavorava da sarta da uomo sulla sua Singer. Dai pannolini, al biberon, a lavarmi e vestirmi, al fiocco sul grembiulino per l'Asilo, a 5 anni. Era la sorella minore di mamma; abitavamo insieme a Firenze prima del nostro trasferimento ad Osteria Nuova di Bagno a Ripoli. Abitavamo insieme anche quando si sposò col 'bibi'. lo zio Roberto che venne a vivere nella nostra famiglia. All'epoca era quasi normale. Quando arrivò in famiglia suo padre, provetto imbianchino e decoratore, trasformò la vecchia casa, 5 stanze allineate e affacciate sui un lungo corridoio, in una 'quasi' reggia. 3 camere da letto, una cucina ed un vasto salotto, dove su due tavoli, pranzavamo e cenavamo. Il babbo dello zio 'bibi' rinfrescò tutta la casa a cominciare dalla camera da letto degli sposi: un trionfo di rose nella balza in alto e nei contorni a finestra e porta. Il salotto lo fece sembrare una sala di Fontanbleu! La zia Marcella fino a che non nacquero le sue figlie, continuò ad occuparsi di me e Marco, mio fratello. Al mattino mi pettinava i capelli ricci, prima di uscire per la scuola. Mi dovevo mettere le mani sulle orecchie per non farmele asportare sotto i suoi colpi di pettine. Le sere d'estate, quando gli zii andavano a ballare alla 'Villetta', mi portavano con loro. Vederli era uno spettacolo, affiatati come pochi si esibivano in tanghi appassionati e valzer indemoniati.
Quando avevo 14 anni andai a passare oltre 3 mesi da loro, a Castelnuovo val di Cecina. Mesi indimenticabili da dove tornai viziato come pochi altri. Gli zii come i nonni sanno viziare, e come!.Fino a che non andarono ad abitare a Barroccino, una borgata di Stagno (Li). Abitavano una casa vasta dove l'ospitalità era una norma. Cugini e nipoti ne approfittavamo ad ogni pié sospinto. Non passava un'estate che non ci ritrovavamo in una 20ina, accampati in ogni dove. Camerate per maschi e altre per femmine. I ragazzi in una cameretta con letti a castello. La zia ad una cert'ora del mattino vi si affacciava con il famoso ritornello: 'Svegliatevi ch' é l'ora, chicchi-ri-ri-cchi-cchì'.. Un giorno era il 15 agosto di molti anni fa, avevo fissato di passare il Ferragosto da loro. Verso le 10.30 trovai le finestre ancora chiuse oppure già chiuse? Salita la breve scala, incoraggiato dall'inquilino di sotto che ' ...non li ho ancora sentiti.', bussai. Venne proprio lei, la zia Marcella ad aprire. Aveva gli occhi come fessure e pieni di un sonno non ancora esaurito. 'Franco, cosa fai a quest'ora?' Era andata così:  verso le 24 della sera prima a chi era in casa (una dozzina) gli venne fame. e non trovarono di megluio che scendere nel pollaio per tirare il collo a 1 o 2 pollastre.Fra chiapparle e pelarle, cuocere e condire la pasta vennero le 3. Il tempo di mangiare e bere e via a letto.
'Bibi, Petrizia, Vilma, Lido, Andrea, Emilio , ...., ...., c'é Franco con la Grazia, sono arrivati. Sveglia.'
Altre volte di passaggio; 'Dammi la maglietta, in una attimo la sciacquo e si asciuga, così viaggi meglio'.
Par fare una festa di fine anno insieme ci andavo per l'Epifania. Mai una volta che sia mancato un giocattolo per Neri.
Quella volta che con Grazia ci si mise a fare i tortellini. Ci venivano grossi come ravioloni. Arrivò la zia Marcella e in quatro e quarr'otto ce li arrotolò lei. Una meraviglia!
Una volta che andai a Barroccino, la trovai  già ai fornelli. Pensai che mi volesse fare chissà quale pranzo. Alla domanda rispose che quel tegame era per Piera. una delle 2 consuocere che abitava vicino: gli aveva chiesto una mano per un pranzo impegnativo. C'era anche una teglia sul fuoco e chiesi cosa ci fosse dentro. 'Ci sono i polpetti da fare alla Luciana'. Domandai ' Ma per noi? Non ci sarà niente per la tavola?'. La vedo ridere ancora: 'I polpetti sono per noi, la 'Luciana' é il tipo di ricetta con cui li cucino!'.
Ultimamente abitava a Scandicci, dove ci andavo spesso a far loro visita. Lo zio non stava più bene e lei, accompagnandomi alla porta mi sussurrava: 'Torna a trovare lo zio, ti rammenta ogni giorno'. Uscivo commosso da quelle visite, per il rinnovato legame fra noi e per il pensiero che aveva per Roberto, il grande amore della sua vita..
Poi in questi momenti, ti viene di pensare a quante volte non l'hai vista o sentita. Al telefono sia io che altri nipoti, se rispondeva lei chiedevamo subito dello zio. Allora si incazzava: ma io che sono? Il culo?'
Ti vengono alla mente tutte le volte che potevi andare a farle visita e l' hai rimandata.
Ti viene di pensare a quante volte potevi dirle. ti voglio bene zia Marcella. Lei lo sapeva, ma perché non dirglielo?

Francoeffe

martedì 12 agosto 2014

Una gita nel Parco 'Fanes, Sennes, Braies'

Un cespuglio di pino mugo
L'avevo visto diverse volte quuell'alberghi vicino a quella pozza che chioamavano 'lago'. Era il Lac d'la Creda, mi pare si chiamasse così. Il ricordo, senza ricorrere alle mappe si é un po' sfocato.
Era, anzi é ancora, sulla strada per Pederù, quasi alla metà, nel verde. Da li parte il sentiero con cui alla fine si arriva al Rifugio Fodara e dopo a Pederù, passando per quelli del Sennes e Fodara..
Più che percorrere quel sentiero pareva di risalire un torrente in secca. Ma era proprio quello il fascino: quel sentiero che risaliva un torrente. Di tanto in tanto si degnava di farsi vedere o  ascoltare tramite il consistente rumore di fondo causato dall'acqua rotolante fra i sassi e saltellante fra i grossi massi. Forse era la voglia di farsi sentire oltre che vedere. Il torrente faceva come al gioco del 'cucù'. O come la madonna di Fatima: apparire e scomparire. Fu in quel letto sassosissimo che la vidi: una Stella Alpina che cercava la luce in cima al suo stelo che sembrava un collo allungato in cerca d'aria.
Mi venne in mente Modigliani ed i suoi lavoro su tela. La  fotografa che scattai é andata dispersa, peccato!
Poi, improvvisamente, il torrente scomparve nel profondo della terra e non si fece più vedere e sentire.
Quando il sentiero iniziò a perdere parte della sua pendenza ci fu il momento di voltarsi indietro e non vedere niente. Nel senso che la particolare curvatura non consentiva altro orizzonte se non dai lati: alti costoni di roccia che ci indirizzavano verso il 'barco', a q. 2550 slm.
Dei baranci ce ne rendemmo conto solo quando gli fummo nel mezzo: magnifici, perfettamente rivolti verso il cielo a tanti, tanti da formare un labirinto. Sarebbe stato bello poter vedere l'effetto dall'alto!. Piazzole di pino mugo profumatissimo (1), si susseguivano le une alle altre, ognuna di altezza e consistenza diverse.
Poi il sentiero ci avviò verso una morena impressionante. Il sentiero serpeggiante pareva non avesse più fine. Servì molta attenzione, non era ammessa nessuna distrazione che poteva rivelarsi fatale. In hotel avevamo sentito storie di grandi escoriazioni causate da scivoloni sulle morene.
Al termine di questo sentiero che non aveva dato nessun momento di  respiro, il barco: un passaggio così stretto che passammo uno alla volta scavalcando il diaframma ad altezza del cavallo dei calzoni. Poi, ...
La vista del grande pascolo che pareva non avesse fine. Ancora una conca fra alte muraglie di roccia. Nel prato i cardi in fiore invitavano a coglierli, ma ..... nessuno ci provò, anche perchè dopo sarebbe stato necessario portarli a casa, come? Dove?...
Sia io che Vittorio, Gino, Sandro e Cristina ci accorgemmo di avere una fame da lupi, il panino potrtato da ll'hotel era stao divorato fra i baranci. Contavamo sul Rifugio Sennes, che però ancora non era in vista e le ore di marcia erano già ben 5. Ma la mappa e le segnalazioni ci dicevano che eravamo sulla strada giusta, dunque si trattava solo di strada. Finchè non apparve il Rifugio. Una sciacquata alle mani e via, intorno alla tavola  su cui fu presto aggiunto un profumato minestrone, del vino e acqua a cui seguì una tegliata di uova affrittellate mescolate a speck! Un trionfo di cucina e appetiti.
La gita terminò dopo ancora 2 ore. Passammo per un caffé al Fodara per poi scendere a Pederù dove ci aspettava l'auto di uno di noi. Rientrando recuperammo l'altra lasciata al mattino a Lac d'la Creda
(1) Pinus mugo (class. Turra, 1764) della famiglia pinaceae. Dai sui rametti verdi non ancora lignificati viene estratto l'olio essenziale di mugolio (on line).

domenica 3 agosto 2014

Presentazione

Aggiungi didascalia
Ho un nome molto lungo se detto e scritto alla maniera antica e per intero, con tutti i patronimici. 
Sono riuscito a conoscerlo al termine della Ricerca sulla mia genealogia. Antica, contadina ma affascinante e ben radicata nel 'popolo' di Antella. Anzi, di Santa Maria all'Antella, detto alla maniera antica, anche questa!
Adesso non é più consuetudine di declinare anche il nome del padre dopo il proprio.
C'é anche una ragione per dire il proprio nome per intero. E' quella di esibire per intero tutta la Genealogia che la maggior parte della gente non si é mai curata di cercare. Non sanno quel che perdono, i maturi per indifferenza i giovani per ignoranza, presi come sono a 'spippolare' incessantemente sui loro aggeggi tascabili elettronici. Senza contare chi su Face Book si perde a condividere le cose degli altri, nella maggior parte dei casi insulse, ovvie ma sempre kitch: filmati impossibili, cani e gatti a sfare o ragionamenti sulla squadra del cuore, giurandogli fedeltà assoluta. Mah!!
Ma per tornare al bomba vi dico il mio nome con le caratteristiche di cui sopra : Franco di Brunetto, di Giovacchino di Emilio, di Luigi di Giovacchino, di Vincenzo di Cosimo, di Bernardo di Cosimo, di Pierantonio di Jacopo Fantechi, dei 'bambolini' di Petriolo. Toh!
Chi l'ha lungo lo .. esibisca il nome e io sto bene!
Mi é venuto in mente di scrivere questo post per la ragione che oggi ho aggiornato la Ricerca chiusa nel 2012 a seguito di 2 new entry: Alessandro e Cristiano che sono individuati come cugini di 7° grado. Quest'ultimo lo incontrerò giusto martedì mattina, seduti ad un tavolo per un caffé.

Francoeffe

venerdì 1 agosto 2014

Un vecchio amico.

Loris e suo figlio sulla copertina di una
Rivista per italo-canadesi.
Arriverà alla fine del mese. L'ultima notizia dice che sarà a Firenze il 24. Passeremo almeno un giorno insieme, così almeno mi ha detto. Certo, dopo 73 anni non é molto il tempo che passeremo insieme, considerando il fatto che  molto probabilmente - non ci incontreremo più!
La storia sta così: quando ero piccolo, circa di 1 anno, la mia mamma usciva con una sua amice che anche lei aveva il figlio piccolo, Loris. Era nato alcuni mesi prima di me.
Quando io nel carrettino aspettavo che scendesse in strada, mi agitavo finchè non eravamo accanto uno dell'altro. Altrettanto lui se scendeva di casa prima di me. Poi quando eravamo insieme tornava la calme. Non é che la nostra conversazione fosse fluida e scorrevole come parrebbe: io avevo appena 1 anno, Loris, così si chiama il mio amico, alcuni mesi di più. Ma vicini eravamo tranquilii proprio come a conversare. 
Finché un giorno di Marzo del 2013 passai dall'Anagrafe di Firenze e chiesi di potere avere il suo recapito, in Canada.  Era emigrato moltissimi anni prima, credo intorno la fine della guerra con papà e mamma, la Pia tanto amata da sua madre.
Sapevo che era emigrato e conoscevo il nome e cognome della sua mamma e dei suoi nonni materni.
La risposta positiva alla mia richiesta non si fece attendere molto. Gli scrissi per ricevere alcune settimane dopo una telefonata. Nella lettera gli avevo allegato una foto che mi ritraeva con le sue nonna e zia, dunque inconfondibile e inequivocabile.
La prima cosa che disse al telefono dopo essersi presentato fu questa: 'Che bello sentire una voce toscana e fiorentina, era tanto tempo che non mi capitava!'.
In seguito ci siamo sentiti e scritti via e-mail molte volte. Una di queste mi ha comunicato la sua venuta il Italia con un programma già definito. Oltre Firenze visiterà San Giovanni Rotondo per raccogliersi sulla tomba di S. Pio da Pietralcina.
Suo padre era un parrucchiere di gran classe e in Canada continuò la sua professione. Loris ne ha seguito le orme, tanto da diventare - così dice la copertina di questa Rivista -'Tthe Kingh of Barber shop'! Nientepopodimeno.

Francoeffe

Gli Avelli


A Firenze era in uso, fino a non molto tempo indietro, un modo di dire molto particolare : per indicare un gran puzzo si dice(va):“…. senti che avello..”.
Credo che solo i fiorentini comprendano il riferimento all’Avello. Per gli altri, ma anche per i fiorentini delle ultime generazioni, conviene chiarire a cosa si riferisce il detto.  Il modo di dire decresce nella parlata ed è sempre meno in uso.
Chissà quante volte siete passati da via degli Avelli : è quella strada che congiunge piazza dell’Unità Italiana a piazza S. Maria Novella. Ebbene, per chi non lo sapesse, gli Avelli sono proprio quegli archetti, tutti decorati, gli uni accanto agli altri in questa strada, sulla facciata della Basilica- 3 per parte- e sul lato destro della sua facciata. “Avello” : arca sepolcrale, tomba”. Così il Devoto-Oli, ed. Selezione dal R.D., 1974.  
Gli Avelli di cui si dice, belli e artistici, sono  sormontati da un archetto e sui sarcofagi fanno bella mostra di se le  insegne di alcune fra le più importanti famiglie fiorentine, patrizie e nobili. Si  riconoscono le insegne dei Pitti, Medici, Alberti, Cerchi, Ricasoli, dell’Antella, Mazzei e di molte altre.
Ma, il modo di dire da cui sono partito? Eccolo qua!
Siccome non tutti i sepolcri erano sigillati al meglio, da questi fuoriuscivano i più maleodoranti fetori. Al tempo la strada non era cosi (abbastanza ) larga: le case erano addossate, quasi a contatto con gli avelli. Poiché il puzzo proveniva da questi, ecco che per indicare un cattivo odore si dice(va) : senti che avello!!”, con buona pace di chi vi ‘risiedeva’. 

Francoeffe