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mercoledì 17 aprile 2013

Il contributo di un altro amico.


CON UNA ROSA

Non avrei mai immaginato che il lasciarmi scivolare sulle sabbie ardenti del mio deserto potesse provocare una tempesta in un cuore gonfio, come quello che spingeva coi suoi battiti potenti un petto svuotato di un uomo che si sentiva eroe. Quest’uomo era tale, perché sopravvissuto al tentennare dei sentimenti di un popolo intero. Il suo popolo! Che era arrivato ad arginarsi in un virgulto di piccoli villaggi sperduti tra le montagne dell’Atlante. Un suono lontano permetteva di immergersi nel mulinello potente di un vento lontano, trasportatore di una finissima sabbia e di mille profumi di spezie: coriandolo, curcuma, cardamomo e cumino per arrivare fino a quelli delle rose del giardino del re, che si espandevano prepotenti anche dove non c’era nessun segno di vita e di segnali profondi, come in un deserto assolato.
Ciò che mi permetteva di sognare erano proprio le dune che scalmanate, si lasciavano ondulare dalle brezze roventi e giallastre e che facevano immergere il mio corpo in un turbinio di echi lontani.
Il corpo di una ragazza era adagiato, in posizione supina, sul cammello che col suo pennacchio, superstite di grandi feste e libagioni, dava segnali di colore con un giallo dorato, senza pietà della sabbia eterna. Il leggero grugnito del nobile animale trasmetteva solo un dissenso profondo per un’inutile tormenta che nasceva, non solo dalla terra e dal cielo ormai carico di sabbia, ma dal cuore ammalato di uno spirito ribelle e solitario, che fino ad oggi aveva sempre trovato il suo grande trofeo di vittoria nella fantasia assoluta e nel dormire tra foglie verdi e colorate d’immensi alberi di sogni e di tremori intensi che nascevano dalle sue viscere potenti e ancorate saldamente a ogni muscolo e a ogni residuo di anima ispirata.
La schiena dell’uomo era carica di un bagaglio d’immensità e di felice sintesi, tra un umore portato alla gioia e un profondo dolore, utile perché consapevole, che gli faceva da vigile guardiano di una realtà senza spazio né tempo. Il suo sorriso era beffardo ma le sue mani asciugavano volentieri le poche gocce di saliva che usciva da una bocca screpolata e che non voleva più raccontare storie di segreti e di misteri. Il corpo di lei era felicemente incuneato tra le nobili gobbe dell’animale, che si lasciavano massaggiare dal carico di preziosa acqua e di forza immensa. Una resistenza che era simbolo di qualità infinite; un’allegoria d’immagini del senso di esistere e del connubio mai spento tra uomo e animale.
Le labbra della fanciulla erano socchiuse in un sorriso e i suoi occhi si lasciavano ispirare dai colori del cielo; distesa si caricava di milioni di granelli teneri e roventi e il profumo delle sue membra non abbandonava le pieghe delicate del suo corpo dipinto. Non uscivano suoni dalla bocca e non si sentivano per chilometri i racconti e i sospiri dell’uomo, che diligente non perdeva la cognizione dello spazio; non si scordava la strada percorsa e non si lasciava ancora rapire dal dubbio di chi sa da dove arriva e non ancora dove vuole andare.
L’intercedere lento e deciso del cammello era un piacevole assolo di suoni lievi e sordi come quelli dei suoi zoccoli sulla sabbia spessa.
La fanciulla restava adagiata sull’animale mentre dritto con se stesso, l’uomo rimuginava promesse d’amore e comunque eterne; non finivano le lacrime per un passato molto vicino e che purtroppo aveva lasciato spazio solamente a ricordi e pensieri oscuri.
La sua mano inanellata si protese verso il corpo elegante della fanciulla; l’uomo bisbigliò poche parole e una lacrima percorse il suo volto forte. La fanciulla non perse il suo lieve sorriso e i suoi occhi cominciarono stranamente a perdere la luce e un sibilo uscì dalla sua bocca carnosa.
L’uomo si fermò, mentre il disco del sole lo trasformava in un’ombra dorata e ogni ruga del suo corpo, divenne un muscolo attivo e il suo respiro prese un ritmo concitato. La figura di donna sul suo cuscino di fiori, tra il calore del sole e quello dell’animale ansimante, cominciò a cambiare di colore; dal colore candido comparvero piccole gocce di un rosso intenso che presero la forma di grandi petali. Il suo corpo cominciò a sciogliersi al vento, partendo dai suoi piccoli piedi calzati d’oro; ogni cellula e ogni tessuto si trasformarono definitivamente in petali rosso fuoco e nel suo complesso apparve una rosa che si faceva rapire dal vento. Piano piano la fanciulla si disperse completamente nell’aria carica di colore, scomparendo agli occhi ormai non più sorpresi dell’uomo.  Il cavaliere ebbe solo la forza di conservare un’ultima carezza sul volto della fanciulla prima che scomparisse definitivamente il suo sorriso. Le sue mani riuscirono a catturare un’ultima manciata di petali rossi e vellutati e dopo aver esitato per qualche secondo, aprì il proprio palmo regalando al vento l’ultimo soffio di una vita spezzata precocemente.
Il cammello lanciò un suo grugnito e riprese la sua danza lenta tra le sabbie dorate e i sorrisi spenti. Il chiarore del tramonto dette un grande bacio alla poesia di un uomo che aveva perso tutto, ma aveva ricominciato a camminare e a cavalcare un’esistenza, tra le dune e i respiri di tante oasi abbandonate e dimenticate.

Luigi Ciampolini
06 04 2013

a cura di Francoeffe

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