CON UNA ROSA
Non avrei
mai immaginato che il lasciarmi scivolare sulle sabbie ardenti del mio deserto
potesse provocare una tempesta in un cuore gonfio, come quello che spingeva coi
suoi battiti potenti un petto svuotato di un uomo che si sentiva eroe.
Quest’uomo era tale, perché sopravvissuto al tentennare dei sentimenti di un
popolo intero. Il suo popolo! Che era arrivato ad arginarsi in un virgulto di
piccoli villaggi sperduti tra le montagne dell’Atlante. Un suono lontano
permetteva di immergersi nel mulinello potente di un vento lontano,
trasportatore di una finissima sabbia e di mille profumi di spezie: coriandolo,
curcuma, cardamomo e cumino per arrivare fino a quelli delle rose del giardino
del re, che si espandevano prepotenti anche dove non c’era nessun segno di vita
e di segnali profondi, come in un deserto assolato.
Ciò che mi
permetteva di sognare erano proprio le dune che scalmanate, si lasciavano
ondulare dalle brezze roventi e giallastre e che facevano immergere il mio
corpo in un turbinio di echi lontani.
Il corpo di
una ragazza era adagiato, in posizione supina, sul cammello che col suo
pennacchio, superstite di grandi feste e libagioni, dava segnali di colore con
un giallo dorato, senza pietà della sabbia eterna. Il leggero grugnito del
nobile animale trasmetteva solo un dissenso profondo per un’inutile tormenta
che nasceva, non solo dalla terra e dal cielo ormai carico di sabbia, ma dal
cuore ammalato di uno spirito ribelle e solitario, che fino ad oggi aveva
sempre trovato il suo grande trofeo di vittoria nella fantasia assoluta e nel
dormire tra foglie verdi e colorate d’immensi alberi di sogni e di tremori
intensi che nascevano dalle sue viscere potenti e ancorate saldamente a ogni
muscolo e a ogni residuo di anima ispirata.
La schiena
dell’uomo era carica di un bagaglio d’immensità e di felice sintesi, tra un
umore portato alla gioia e un profondo dolore, utile perché consapevole, che
gli faceva da vigile guardiano di una realtà senza spazio né tempo. Il suo
sorriso era beffardo ma le sue mani asciugavano volentieri le poche gocce di
saliva che usciva da una bocca screpolata e che non voleva più raccontare
storie di segreti e di misteri. Il corpo di lei era felicemente incuneato tra
le nobili gobbe dell’animale, che si lasciavano massaggiare dal carico di
preziosa acqua e di forza immensa. Una resistenza che era simbolo di qualità
infinite; un’allegoria d’immagini del senso di esistere e del connubio mai
spento tra uomo e animale.
Le labbra
della fanciulla erano socchiuse in un sorriso e i suoi occhi si lasciavano
ispirare dai colori del cielo; distesa si caricava di milioni di granelli
teneri e roventi e il profumo delle sue membra non abbandonava le pieghe
delicate del suo corpo dipinto. Non uscivano suoni dalla bocca e non si
sentivano per chilometri i racconti e i sospiri dell’uomo, che diligente non
perdeva la cognizione dello spazio; non si scordava la strada percorsa e non si
lasciava ancora rapire dal dubbio di chi sa da dove arriva e non ancora dove
vuole andare.
L’intercedere
lento e deciso del cammello era un piacevole assolo di suoni lievi e sordi come
quelli dei suoi zoccoli sulla sabbia spessa.
La fanciulla
restava adagiata sull’animale mentre dritto con se stesso, l’uomo rimuginava
promesse d’amore e comunque eterne; non finivano le lacrime per un passato
molto vicino e che purtroppo aveva lasciato spazio solamente a ricordi e
pensieri oscuri.
La sua mano
inanellata si protese verso il corpo elegante della fanciulla; l’uomo bisbigliò
poche parole e una lacrima percorse il suo volto forte. La fanciulla non perse
il suo lieve sorriso e i suoi occhi cominciarono stranamente a perdere la luce
e un sibilo uscì dalla sua bocca carnosa.
L’uomo si
fermò, mentre il disco del sole lo trasformava in un’ombra dorata e ogni ruga
del suo corpo, divenne un muscolo attivo e il suo respiro prese un ritmo
concitato. La figura di donna sul suo cuscino di fiori, tra il calore del sole
e quello dell’animale ansimante, cominciò a cambiare di colore; dal colore
candido comparvero piccole gocce di un rosso intenso che presero la forma di
grandi petali. Il suo corpo cominciò a sciogliersi al vento, partendo dai suoi
piccoli piedi calzati d’oro; ogni cellula e ogni tessuto si trasformarono
definitivamente in petali rosso fuoco e nel suo complesso apparve una rosa che
si faceva rapire dal vento. Piano piano la fanciulla si disperse completamente
nell’aria carica di colore, scomparendo agli occhi ormai non più sorpresi
dell’uomo. Il cavaliere ebbe solo la forza di conservare un’ultima
carezza sul volto della fanciulla prima che scomparisse definitivamente il suo
sorriso. Le sue mani riuscirono a catturare un’ultima manciata di petali rossi
e vellutati e dopo aver esitato per qualche secondo, aprì il proprio palmo
regalando al vento l’ultimo soffio di una vita spezzata precocemente.
Il cammello
lanciò un suo grugnito e riprese la sua danza lenta tra le sabbie dorate e i
sorrisi spenti. Il chiarore del tramonto dette un grande bacio alla poesia di
un uomo che aveva perso tutto, ma aveva ricominciato a camminare e a cavalcare
un’esistenza, tra le dune e i respiri di tante oasi abbandonate e dimenticate.
Luigi
Ciampolini
06 04 2013
a cura di Francoeffe
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